L'ERRORE DI BEPPE GRILLO Semel in amno licet insanire Grillo è uno che mi sta simpatico.
Ha concluso più lui, in poco tempo e a costo zero, di quanto siano riuscite a fare tutte le commissioni e sottocommissioni d'inchiesta dal dopoguerra ad oggi. Non è che lo si debba santificare. Il soggetto ha poco a che vedere con Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta. Ha individuato un business offerto dalle nuove tecnologie e ci si è tuffato anima e corpo, rischiando in proprio (contro la buona tradizione dei signori dell'economia assistita) e rendendo al Paese un servizio con i controfiocchi. Oltretutto continua a farsi un culo della madonna e quel che gli entra in tasca se lo suda fino all'ultimo euro. Dopo il suo intervento di Bologna esponenti della noblesse parlamentare lo hanno definito un moderno Masaniello, mostrando di ignorare come, al tempo del pescivendolo partenopeo, si cercava, è vero, di fare le scarpe ai sobillatori, ma con un tatto ed un savoir faire del tutto sconosciuti alle democratiche costumanze di questo nostro parlamento. Tanto per cominciare rivestirono quel tale da capo a piedi, ascoltarono le sue lagnanze, se lo coccolarono nei sontuosi ambienti della corte vicereale e solo dopo arrivarono a fargli la festa. Con Grillo, invece, prima si tappano le orecchie, programmano il silenzio radiotelevisivo e quando il 'comico' si tira in piazza centinaia di migliaia di persone tutto quello che sanno dire è che mette in pericolo le libere istituzioni della repubblica nata dalla resistenza. Lo fanno, per giunta, incespicando malamente sui rituali foglietti compitati alla meno peggio dai loro portaborse, mentre l'altro li manda aff....... senza alcun bisogno di supporti cartacei. Intanto qualcuno si starà già chiedendo dov'è che voglio andare a parare; in cosa consisterebbe l'errore di Grillo. Un po' di pazienza e ci arriverò. A fottere Masaniello non fu solo il duca d'Arcos. Chissà come sarebbe andata a finire se l'agitatore si fosse astenuto dal dare segni di squilibrio mentale. La storia (quella ufficiale che si impara a scuola su libri di testo a costo annualmente maggiorato) parla del maniacale attaccamento al fiasco di vino dimostrato dall'ambulante dopo i suoi primi successi. Una cosa plausibile dal momento che la Napoli del '600 non era ancora assurta al ruolo di crocevia della droga. Tuttavia, come per tutti i fattacci che si rispettano, non manca una seconda ipotesi; quella che a traviare il poveretto possa aver provveduto (in maniera del tutto fortuita) l'influenza del giurista Genoino. Non vorrei che a Grillo stesse per succedere qualcosa di analogo. Lo dice e non si stanca di ripeterlo che lui è solo un comico (come dire: un ambulante dello spettacolo). Ha vissuto gli sconci della prima repubblica e devess'ergli rimasta impressa l'azione moralizzatrice dell'ex magistrato Di Pietro. Potrebbe essersi convinto, di conseguenza, che l'”affaire” Italia stia tutto nella contrapposizione interna al binomio “onesti – disonesti” rafforzata dal proverbiale adagio che “l'occasione fa l'uomo ladro”. Non si spiegherebbero altrimenti le raccolte di adesioni sulla temporizzazione delle permanenze al potere e le iniziative sul superamento delle candidature preconfezionate, per scoraggiare i politici di professione, privilegiando, con apposite liste, quanti, invece, sono abituati a sudarsi la giornata. La realtà è che stiamo attraversando una profonda crisi strutturale ed istituzionale dell'intero sistema per il cui superamento non c'è “riforma elettorale” che tenga. Le stesse proposte avanzate l'8 Settembre non potrebbero avere altro effetto, a mio avviso, che non sia quello di prolungare l'agonia di un sistema da tempo avvezzo all'omologazione delle opposizioni. Cos'altro starebbe a significare l'esplicito invito lanciatogli da Ciampi (“formasse un nuovo partito”) se non l'ennesima 'composizione' da realizzarsi sul ritmo dell' “aggiungi un posto a tavola”? La questione non sta tanto nella durata e nemmeno nell'origine del mandato, quanto nella totale trasparenza sull'operato di chi lo riceve. Non è un caso se negli USA non ci pensano due volte ad assestare un calcio nel sedere agli uomini pubblici con il vizietto di nascondere qualcosa di personale, mentre in Italia l'arroganza della casta partitica s'è spinta al punto da oscurare per legge i contenuti delle intercettazioni, imbavagliando (per tempi biblici) quel che resta della così detta libera informazione fino alle sentenze passate in giudicato. Le stesse “liste civiche”, in presenza di un siffatto contesto defluirebbero, prima o poi verso situazioni non dissimili da quelle descritte da Orwell nel “La fattoria degli animali”; un libro che consiglierei caldamente a Grillo che, in mancanza di tempo, dovrebbe almeno affrettarsi a ripiegare sul trilussiano “Er serrajo”; un più che valido “Bignami” dell'opera orwelliana. Qualche proposta alternativa? Certo! Saranno quattro o cinque giorni che il New York Times manda gratuitamente in rete il quotidiano. Così facendo, osserverete, la gente non andrà più a comprarlo in edicola. Ed proprio ciò che vuole la proprietà del giornale. Per convincersi che da quella parte non abbiano perso la bussola, basta introdurre qualche semplice riflessione. Un periodico che si rispetti introita un 70% dalla pubblicità e raramente più del 30 dalle vendite. Ora, in una realtà come quella statunitense, dove anche l'ultimo dei pensionati ha dimestichezza con il PC unita alla possibilità di collegamenti veloci a costi prossimi allo 0, il conto è presto fatto. Incrementando con la gratuità il numero dei lettori aumentano anche le entrate da pubblicità; tanto più che quest'ultima trasmigra progressivamente su Internet a tutto discapito dei media classici. Non solo, ma, programmando nel tempo la scomparsa dell'edizione cartacea, si realizza un enorme risparmio in fatto di materie prime, macchinari, distribuzione, edicole ecc... Un calcolo che, in una società come quella USA, abituata a ragionare in termini imprenditoriali, non si può dire faccia una grinza. E in Italia? Tutta un'altra storia. Mentre i Padri Pellegrini prendevano terra sulle coste del nord America qui da noi imperversava la Controriforma e forse dipenderà anche da questo se l'attuale circolazione dei quotidiani (quasi tutti fiancheggiatori o dichiaratamente di parte) hanno molti punti in comune con quella “vendita delle indulgenze” legata a pratiche devozionali che finì per far girare le palle ai tedeschi realizzando le fortune del luteranesimo. Basta che un paio di “porporati” dell'attuale parlamento (senza esclusioni di eventuali senatori con i sintomi dell'alzheimer) dichiarino, ad esempio, “Si, Si! Effettivamente 'L'Eco di Roccacannuccia' svolge un importante ruolo nel dibattito democratico” perché una testata sorta dalla sera alla mattina attacchi a ciucciare soldi dalle poppe dello Stato. Ovviamente, ricorrendo a pressioni al cui confronto gli estorsori di professione passerebbero per questuanti, non mancherà nemmeno di inserzionisti. Tirature? Le più alte possibili, dal momento che per il grazioso contributo di svariati milioni annualmente elargito non c'è pericolo che ci si sogni di andare a conteggiare le vendite. Chi li compra? Se togliamo dal mucchio gli abbonamenti “a corso forzoso” imposti qua e là dai valvassori degli enti locali quel che resta si presenta più o meno equamente ripartito tra la popolazione di quanti continuano ad illudersi sulla classificazione della politica in posizioni di “destra”, “centro” e “sinistra”. Il grosso dell'opinione pubblica se ne strafotte; non legge e, se lo fa, privilegia La Gazzetta dello Sport o periodici di pura evasione. In realtà agli editori della stampa politica e parapolitica interessa poco che la diffusione dei propri manufatti raggiunga aree decisamente limitate di consumatori. Il loro obbiettivo non ha nulla a che vedere con calcoli del tipo “rapporto costi – benefici”; ciò che interessa è la monopolizzazione del settore stampa politica finalizzato all'omologazione delle teste dei destinatari. Siffatto modo di regolarsi, che, validamente affiancato da emittenti di pura (anche se scadente) evasione, ha potuto pascolare indisturbato fino all'avvento dei blog e dei dibattiti in rete, si trova oggi a dover fare i conti con quella stessa realtà che ha determinato i successi di Grillo. Conseguenze? I partiti che continuano a definirsi “di massa” trovano qualche sfogo nelle adunanze tipo “Festa dell'Unità”, dove ti assillano e non c'è verso che ti mollino prima che abbia versato il rituale obolo di testata. Per tutti gli altri sono c....! Sempre più spesso, per risparmiarsi plateali figure di m...., piuttosto che mandare al macero le eccedenze, ci si regola, come tuttora fanno certe madri nubili, abbandonandole impacchettate e di soppiatto nei meandri delle metropolitane o deponendole (di primo mattino) sui marciapiedi dei mercati rionali. E chi s'è visto s'è visto. E' vero che siamo un paese dove si ha la spudoratezza di definire pubblica una RAI che è un'autentica pattumiera, zippata all'inverosimile di pubblicità, ridotta a teatrino della logorrea partitica e nella quale, tanto per “rinvigorirla” ci schiaffano un ottantenne nel CdA. Ma,......quel ch'è troppo è troppo! Si dice che “chi bene inizia è alla metà dell'opera”. Perché, allora, rischiare di giocarsi tutto impelagandosi in avventure di dubbia fortuna? Non è forse meglio affinare la lotta attaccando la roccaforte strategica dell'informazione di regime, dove anche il più striminzito fac-simile di ciclostilato becca qualcosa come sette miliardi delle vecchie lirette? In un paese come il nostro dove, tanto per fare un esempio, imperversa l'esodo dei cervelli (categoria non assistita dalla Caritas) per le pietose condizioni in cui versa la ricerca, io sarei per l'immediata promozione via rete di iniziative dirette, in primo luogo, all'eliminazione di questa ennesima e più indigesta imposizione; in pratica una vera purga che si differenzia dal rinomato olio di ricino per il fatto che quello, almeno, lo si somministrava in maniera rigorosamente gratuita. Potrebbe segnare l'inizio di altri sani cambiamenti in grado di decloroformizzare la gente abbandonata ai sadogiornali RAI , o che, cloroformizzata con lo specchietto della partecipazione, resta impietosamente irreggimentata in quelle “fabbriche del consenso” rappresentate da stabili strutture “musical-ludico-artistiche” delle quali non c'è amministrazione locale che riesca a farne a meno. |