La gloriosa parata per il
160mo anniversario delle Fiamme Gialle trasmessa in TV qualche giorno addietro
mi ha indotto a qualche ennesima amara riflessione sulle condizioni
fisco-produttive di questo nostro allegro paese.
Il ricordo è andato allo “STANAVE
GLI EVASOVI!” da sempre stentoreamente scandito con signorile erre moscia
dal simpatico Bertinotti e sistematicamente riecheggiato da Visco.
Pare che questa lebbra della
società (gli evasori; non Visco e Bertinotti – n.d.r.) sottragga all’erario una
quantità impressionante di euro. Ed è chiaro che i finanzieri ce la mettano
tutta per debellarla, anche se, di norma, passando alla voce recuperi,
dubito che la stessa basti a pagare manifestazioni folcloristiche ed
avanzamenti ed avanzamenti di grado nel comparto della polizia tributaria.
Decenni di solido
cattocomunismo hanno democraticamente abituato il grosso dell’opinione
pubblica a ragionare in termini di buoni e cattivi; una rigida dicotomia
che impedisce di vedere se e fino a qual punto i così detti buoni
sconfinino nell’opposta categoria (e viceversa).
Chi evade sarà pure un cattivo cittadino, tuttavia, ammettiamolo, risulterebbe arduo pensare di sbattere nello stesso girone, accanto al noto cantante che batte bandiera panamense, il pensionato con la minima che proprio non ce la fa a trovare i soldi per l’ICI o l’imprenditore che, quantunque scannato di cambiali, è obbligato a versare un impressionante numero di balzelli.
E siamo proprio certi che ai
buoni; a quelli che versano all’erario fino all’ultimo euro, debbano
necessariamente spalancarsi le porte del paradiso?
Certo sarebbe difficile negare
il favore a Pasquale Rossi; operaio precario e monoreddito, che si lascia
mansuetamente decurtare il lordo di un buon 25% con l’immancabile contorno di
addizionali Regionali e Comunali, conguagli, ritenute previdenziali per una
pensione più improbabile d’un terno a lotto, contributi socio-sanitari e
doverosa quota sindacale.
Mentre un San Pietro che si
rispetti non potrebbe esimersi dall’allontanare a calci in c. appartenenti a
quella sottocategoria di onesti i cui emolumenti (pur debitamente
tassati) farebbero impallidire le prebende un tempo assegnate ai maggiori
esponenti dell’alta aristocrazia.
L’amministrazione pubblica
pullula di consulenti che, pure in presenza di opere mai fatte, bocciate o
rinviate sine die, continuano a riscuotere onorari al cui confronto i
più rapaci esponenti degli ordini avvocatizi passerebbero per meritori
esponenti del più solidale volontarismo.
Qualcuno ricorda lo
strombazzamento fatto decenni addietro a proposito degli enti inutili? Tenga
presente che ce ne sono ancora a iosa. Non producono un c., in compenso
provvedono lautamente al mantenimento di qualche legione di scansafatiche;
tutta gente che, al primo sentore di pericolo, non esita a tirare fuori dal
cilindro qualche cabala giudiziaria; pretestuosa fin che si vuole, ma
indispensabile a tenere occupata la greppia per i tempi di un giudizio che, da noi, difficilmente si discostano da
quelli di un’intera vita lavorativa.
Talvolta, invece, a rendere
inutili non pochi enti provvedono direttamente stuoli di dirigenti spuntati non
si sa da dove ma remunerati con stipendi che superano di 60 e più volte ciò che
riesce a percepire un operaio.
Dice un vecchio proverbio che “il
pesce impuzzolisce dalla testa” e temo che, ancora una volta, la sana
saggezza del buon tempo antico si dimostri assolutamente veritiera. Specie se
guardiamo a ciò che combinano, e soprattutto a quanto percepiscono, quelli che
Grillo ama definire “nostri dipendenti”.
Apprendiamo, da un’indagine condotta da “Italia Oggi” 27 Giugno 2006), che in due mesi, a fronte del totale di 46 ore lavorate, un parlamentare non intasca, al netto, meno di 30mila euro. Qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a supporre che, per beccarsi una paga oraria equivalente ad un milione di vecchie lirette, questa gente stia riuscendo, quanto meno, a risolvere il rebus dello straripamento del debito pubblico. Invece? I mesi passano e l’amministrazione non lavora. L’unico impegno finora affrontato coincide con un’ operazione degna della “moltiplicazione dei pani”; quella relativa al sostanzioso incremento del numero di poltrone.