Sul caso de "La Sapienza"
UNA VOCE FUORI DAL CORO



 Resto francamente allarmato per come la stampa e, soprattutto, la TV di Stato hanno commentato, stigmatizzandoli a più non posso, i fatti de La Sapienza.

 C'è mancato poco che giornali obbligatoriamente finanziati con i soldi dei cittadini ed un'emittenza pubblica altrettanto obbligatoriamente foraggiata (per somministrarci "servizi" fortunatamente interrotti da una valanga di spot pubblicitari) attribuissero ai ragazzi de La Sapienza la qualifica di terroristi.
 Non sono trascorsi  che pochi giorni da quando gli amministratori capitolini, ricevuti in Vaticano, hanno beccato dal pontefice una lavata di capo con i conrofiocchi, iniziata con le lamentele sul dilagare della delinquenza e conclusasi con l'appello a lenire le difficoltà attualmente affrontate da gran parte delle famiglie.
 Ora, il papa, che a differenza dei politici è uno che sa il fatto suo, non poteva non tener conto delle conseguenze mediatiche che un siffatto tipo di udienza avrebbe avuto su di un'opinione pubblica sempre più disorientata ed accomunata unicamente dal quasi ribrezzo provato verso quanti dicono di amministrarci.
 Una tirata d'orecchie a gente che gode di crescente impopolarità mediante appello su emergenze da tutti avvertiti non fa altro che accrescere gli apprezzamenti nei confronti della Santa Sede.
 Non mi risulta che ci sia stato confronto. Sarebbe stato opportuno che un aspiante campione del rilancio della democrazia come Veltroni avesse obiettato, ad esempio:
"Santità, è vero che siamo in balia di una delinquenza sempre più aggressiva ed onnipresente, non dimentichiamo tuttavia che proprio il suo predecessore s'era recato in Parlamento a sollecitare quell'indulto i cui effetti sono sotto gli occhi di ogni testa raziocinante".
 O anche:
 " Riconosciamo francamente le nostre responsabilità sui chiari di luna in cui si dibattono le famiglie beffeggiate da finti stipendi e sempre più gravate da bollette, balzelli e caro-mutui. Le sembra giusto, tuttavia, che in siffatto contesto una pia istituzione come quella da lei diretta, proprietaria com'è di un buon quarto del patrimonio immobiliare, continui a beneficiare delle esenzioni ICI?"
 Niente di tutto questo. Gli illustri ospiti hanno trangugiato senza batter ciglio la peraltro meritata reprimenda e se ne sono tornati in Campidoglio con la coda tra le gambe per sorbirsi il resto della mazzata, puntualmente somministrata dalla così detta opposizione che ne ha subito approfittato per bastonare i "sinistri" a mezzo altisonanti apprezzamenti all'indirizzo della Santa Sede.
 Questo clima, che somiglia parecchio alle prove generali del funerale dello Stato, necessita di qualche riflessione.
 L'avvento dell'UE ha fortemente limitato i poteri dei parlamenti nei paesi che ne fanno parte. Nè si può dire che in Europa spirino venti eccessivamente favorevoli per la Chiesa cattolica. Mettiamoci nei panni di Benedetto XVI. Cos'altro può fare un papa tuttaltro che sprovveduto se non cercare di salvare il salvabile almeno nella nazione di residenza?  E come altro si può pensare di farlo se non occupando spazi di consenso lasciati vuoti da una casta partitica platealmente avulsa dai problemi reali del paese? Mentre la Campania rischia bibliche epidemie  continuando a nuotare nell'immondizia i partiti si concentrano su di una riforma elettorale che, nella meno peggiore delle previsioni, consoliderà il collaudato sistema delle liste bloccate, composte e proposte ad esclusivo uso e consumo dei pochi apparati che dirigono l'orchesta. Al cittadino, sempre più disorientato, conscio di contare quanto l'asso di picche, non resta altro diritto che non sia quello di incazzarsi nel ritrovarsi schiacciato come il vaso di coccio di manzoniana memoria tra voracità delle lobby, appettiti delle multinazionali, sistemi creditizi che poco hanno da invidiare a quelli praticati dalle associazioni a delinquere e svendite dei patrimoni di Stato con buona pace delle faraoniche prebende elargite a quanti hanno dimostrato il massimo della professionalità nel portare allo sfascio la baracca.
 In un siffatto stato di cose arriva al Santo Padre l'invito del rettore de La Sapienza per l'inaugurazione dell'anno accademico e scoppia il putiferio.
 Per comprenderne la natura è necessario considerare alcuni elementi che possono aver fatto da detonatore sulla clamorosa conclusione dell'affaire.
 In primo luogo lo stato di frustrazione e rabbia tipico di quanti non hanno ancora abbandonato le università.
 Ci si affanna a lamentarsi del fatto che la percentuale dei laureati italiani si attesta al 50% della media europea. Siamo più cretini degli abitanti d'oltralpe, oppure dipende dalla scarsa appetenza dimostrata dei neolaureati nostrani per prospettive occupazionali del tipo call-center?
 La precarietà del lavoro ha raggiunto livelli tali da trasformare in autentiche coglionature gli apparati coreografici solennemente predisposti per l'inaugurazione dell'anno accademico (un pò come accade per quella dell'anno giudiziario). Fin troppo chiaro, di conseguenza, che il sovraccarico rappresentato da un papa che si presenta in pompa magna, ben paludato, accompagnato e protetto da adeguata scorta può costituire la clasica goccia capace di far traboccare il vaso.
 In secondo lugo: la natura dell'illustre ospite.
 Benedetto XVI non è solo un uomo caratterizzato da vasta e solida cultura. Si da il caso che sia anche capo di uno stato e guida assoluta di strutture certamente caratterizzate da moventi spirituali, ma non per questo prive di enorme peso politico ed economico. Non si tratta, in altri termini, di un pinco qualsiasi, illustre fin dove vogliamo, che si presenta in ateneo, sforna la pisciatina di circostanza, incassa collare e pergamena e se ne torna per dov'è venuto.
 Nel caso specifico ci si sarebbe trovati in presenza di chi avrebbe ben misurato le parole, regolandosi, immagino, nè più nè meno di come ha fatto giorni addietro con la delegazione capitolina. Parecchi si sono ricordati dell'esistenza di talune prerogative di autonomia riconosciute agli atenei ed hanno pensato a comportarsi di conseguenza.
 Sono da condannare? Lo sarebbero qualora il Santo Padre si fosse dimostrato disposto ad accettare, unitamente all'invito, la disponibilità al dialogo accompagnato dalle immancabili difformità d'opinione che ovviamente lo caratterizzano. Ma non vi sembra che sarebbe pretendere un pò troppo da chi, per lunga e consolidata tradizione, è predisposto alla predica, mica al contraddittorio?

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