IERI E OGGI (La guerra dei prezzi)

 

Quando si parla di eventi bellici il pensiero, specie di quelli che li avvertono per sentito dire, evoca scenari di scontri con tanto di morti e feriti; immagina bombardamenti che (quantunque "intelligenti") è difficile che non si tirino appresso un consistente carico di morti civili al quale è doveroso aggiungere un certo numero di soggetti eufemisticamente etichettati come "dispersi".

Va da sé che in un paese notoriamente refrattario alla lettura i più ne seguiranno le fasi sui "servizi" graziosamente confezionai dalla Rai-Tv. E non è detto che non ci sia chi, tra un’interruzione pubblicitaria e l’altra, riesca perfino ad impietosirsi per la sorte dei malcapitati che il conflitto, anziché seguirselo sui teleschermi, sono costretti a sorbirselo sul groppone.

I più anziani non potranno fare a meno di riandare al secondo conflitto mondiale, rievocando il suono delle sirene e quello più terrificante dei boati cui seguiva (se tutto andava bene) la fuoruscita da ricoveri sapientemente ubicati tra le macerie. Tanto, ovviamente non vale per gli oriundi made in USA che, fortunati loro, i bombardamenti non sanno nemmeno cosa siano; tanto è vero che è bastata la faccenda delle "due torri" perché scatenassero un putiferio della Madonna.

Se c’è un aspetto positivo tipico d’ogni conflitto è quello che, alla conclusione delle operazioni belliche, resta sempre, anche nel paese che se ne esce sconfitto, un certo numero di sopravvissuti. Si tratta, di norma, di gente ridotta pelle e ossa per via di privazioni che raramente fanno notizia e che riguardano, invariabilmente, le privazioni legate alla rarefazione dei così detti generi di prima necessità. Tanto spiega il perché di episodi direttamente connessi alle guerre e che conservano inalterata la stessa fragranza di quegli assalti ai depositi di derrate alimentari magistralmente descritti dal nostro Manzoni nel contesto di guerre e pestilenze che avevano colpito il territorio lombardo.

Qui in Italia non ci sono guerre e (nonostante le cantonate del servizio sanitario nazionale) nemmeno pestilenze. Pure è un fatto che, dopo le maldestre "appropriazioni" operate da pensionati con "la minima", mostra di prender piede la tendenza ad assaltare in massa i supermercati con conseguente ostentata erogazione di cibarie ai passanti.

Anche se, come immagino, il fenomeno non ci salverà dall’allestimento di "tavole rotonde" allegramente telegestite con l’apporto di sociologi, psicologi e politologi, vorrei provare a dire la mia.

Per farlo dovrò tornare ai tempi di quel nostro ultimo conflitto, rispolverando, nell’organizzazione dell’economia di guerra, la questione delle "tessere annonarie"; con l’obbligo per tutti i produttori di effettuare la consegna delle derrate alimentari. Un "imperativo" largamente disatteso, al punto che gran parte delle merci imboccavano le strade della "borsa nera", con buona pace di quanti dovevano arrabattarsi a sopravvivere con i tagliandi della famigerata carta. In Italia, poi, si era di manica larga. I contravventori rischiavano, se beccati, di affrontare un processo che lasciava tutto il tempo di perdere due o più guerre.

Ciò che induceva i meno abbienti a gridare allo scandalo era il fatto che le merci sottratte all’"ammasso" toccavano, nella clandestinità, prezzi più che quadruplicati rispetto a quelli praticati dal "tesseramento".

Giorni addietro quanti transitavano per la torinese via Roma potevano gratuitamente approvvigionarsi di ortaggi cortesemente confezionati da coltivatori indaffaratissimi nell’offrirli ai passanti. Un’originale iniziativa promozionale? Semplice gesto di disperazione. La causa? Per individuarla basta sfogliare i listini della spesa riportati dai quotidiani, dove si scopre che i prezzi al dettaglio raramente scendono sotto il quintuplo di quanto viene corrisposto ai produttori. E’, in definitiva, come se la vendita al dettaglio avesse generalizzato, legalizzandola, la prassi dell’antica "borsa nera".

 

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