La prima è quella che cercano d’insegnarci a scuola. Impresa ingrata dal momento che gli stessi docenti, quand’anche dovessero conoscerla alla perfezione, se ne guardano dal praticarla per non passare da marziani. Come dire "Impara l’arte………". Per forza ! Passato il tempo di chi andava a risciacquare i panni in Arno, l’italiano, già rivestito dalle pezze variopinte di tanti localismi, è costretto a vedersela anche con gli incasinamenti ingenerati dalla società multietnica. Va da sé che cercare di esprimere secondo canoni cari ai puristi concetti della vita di tutti i giorni è come voler tradurre in latino una relazione sull’informatica. La lingua, lungamente soverchiata da incursioni dialettali, francesismi, inglesismi (e chi più ne ha più ne metta) risulta simile ad un alloggio con suppellettili coperte da una spessa coltre di polvere; dove, se pure ti viene la tentazione di dare una ramazzata, finisce che ti cascano le braccia al solo pensiero di quanto ti toccherebbe sfacchinare. Raffrontata al linguaggio corrente, presenta differenze non dissimili da quelle che separano la musica da camera dai ritmi serrati d’una discoteca. Non è il caso di tentare riesumazioni il cui lezzo minaccerebbe di ridurre al mutismo gli incauti praticanti. Si tratterebbe, piuttosto, di trovare quel giusto mezzo che consentisse per tutti un linguaggio da cristiani; sciolto, comprensibile quindi umanamente accettabile. Chi proprio non si tormenta nel tentativo di gettare ponti tra lingua e linguaggio può avere buone probabilità di intrupparsi con successo tra i confezionatori di fiction televisive. Nessuno mi toglierà dalla testa che quegli spettacoli vengano confezionati ad esclusivo uso e consumo della fauna geriatrica; l’unica in grado di sorbirsi (complice l’incalzante sordità) clisteri fraseologici capaci di allungare una dichiarazione d’amore fino a quando la graziosa destinataria non s’è trasformata in una vecchia decrepita; gli stessi che impongono non meno di venti di trasmissioni per narrare col dovuto garbo una normale faccenda di corna. La mente corre con raccapriccio al voltastomaco causato da quei riassunti delle puntate precedenti che sono altrettanti revival dell'antiquariato terminologico. Immaginate come potreste reagire se al telefono vi si rispondesse: "la fanciulla non è ancora rientrata nella sua dimora. Potreste interpellare il suo genitore onde acquisire ulteriori ragguagli circa le sue ultime vicissitudini". A me è successo, entrando in un bar, di trovarvi due tipi trattenuti a stento dal darsele di santa ragione. Motivo del litigio ? L’ingiuria nuova e tremenda pronunciata da chi si era spinto a definire l’avversario più palloso d’una telenovela. Oltre che ai parolieri di siffatte storie la Lingua con la "L" maiuscola pare risulti del tutto indispensabile a quanti strappano la giornata "condensando" (come diceva Churchill) il minimo delle idee nel massimo di parole. Sono i curatori fallimentari dell’istruzione pubblica e quanti si accaniscono sulle pagine culturali dei periodici al solo scopo d’incoraggiare l’analfabetismo di ritorno. Ricordo ancora traumatizzanti esperienze liceali legate all’ora di filosofia. Insensibile alle epidemie influenzali (ed a tutti quegli accidenti che di norma interrompono il lavoro dei comuni mortali) arrivava, puntuale come una cambiale, il docente di ruolo. "Andate a pagina….." Ed al disgraziato di turno toccava declamare per una buona mezz’ora brani mostruosamente incomprensibili. Molti trovavano sollievo allo strazio sfogliando sottobanco riviste che poco avevano a che vedere con i grandi maestri del pensiero, e che inducevano gli imboscati degli ultimi banchi a compiere azioni che non è il caso di rievocare. Gli stessi argomenti, se trattati con la prosa di De Crescenzo, possono rivelarsi interessanti ed attraenti. Merito dello scrittore che tende a far coincidere la lingua scritta con quella parlata. Quando l’italiano medio si vede costretto a mettere nero su bianco un qualche concetto che pure gli frulla chiaro nella testa non può fare a meno di sottoporsi a fatiche che ricordano gli sforzi delle partorienti. Poniamo che intenda significare al destinatario: "Brutto disgraziato. Sono tre mesi che attendo il tale rimborso. Cos’aspetti a deciderti ?" Dopo aver sudato a lungo su versioni poi regolarmente cestinate finirà per inviare un messaggio redatto press’a poco così: "Egregio, Impellenti nonchè impreviste necessità familiari mi motivano a rivolgerLe, con la presente, cortese preghiera di voler provvedere quanto prima al rimborso delle note spettanze di mia competenza. Certo di poter contare sulla Sua sensibilità, chiedo scusa per il disturbo arrecatoLe, La ringrazio fin da ora sentitamente mentre colgo l’occasione per porgerLe…….". Se così ci esprimiamo con chi vorremmo sputare in faccia, è facile prevedere le fatiche sovrumane che dovrà sobbarcarsi chi si trova alle prese con la scrittura per sollecitare favori o raccomandazioni. Siffatte divaricazioni, molto meno accentuate in altri paesi dell’occidente, causano più d’un guazzabuglio quando si cerca di capirsi tra persone di differente nazionalità. Affrontando un testo in francese troviamo che il tizio s’è lasciato fottere dal caio. Se chi traduce procede alla lettera farà passare per omosessuali entrambi i protagonisti. In caso contrario (e specie se l’opera è destinata a finalità didattiche) si esprimerà, nella meno peggiore delle ipotesi, in termini di turlupinatura operata in danno dell’altrui dabbenaggine. La faccenda diventa ancor più seria quando si passa dal libro alla cinematografia. L’inglese, segnatamente nella variante USA, pare fatto apposta per indicare in maniera spiccia cose e situazioni. Mettiamoci nei panni di chi deve doppiare un aspro battibecco tra marito e moglie. Due minuti di proiezione sono per i coniugi più che sufficienti a cantarsele di santa ragione. Per dire le stesse cose, bene che vada, all’italiano non ne bastano cinque. Si potrebbe riproporre l’intera sequenza realizzandola al rallentatore se quei dannati non mimassero la lite gesticolando a tutto spiano. Non resta che ripiegare sul collaudato sistema dello scioglilingua e ficcare in bocca ai divi molte più parole di quante potrebbero pronunciarne. Così, quando il film comincerà a girare per le italiche sale molti resteranno sbalorditi nel constatare la velenosità che caratterizza il menage delle coppie d’oltreoceano. Qualcuno, in vena d’imitazioni, cercherà di sperimentare la cosa tra le pareti domestiche. Ma i più usciranno dal cinema con la ferma convinzione che gli americani siano portati per natura all’isterismo ed all’assidua frequentazione degli strizzacervelli.
I guai dell’italiano hanno origini piuttosto remote. Prendiamo due letterati inglesi del 5 e 600. Shakespeare e De Foe ? Il primo non è che guadagnasse gran che, tuttavia riusciva a campare su quanti (pur rischiando la pelle appollaiati fra le traballanti strutture dei teatri dell’epoca) non mancavano di andare a sorbirsi le sue tragedie. Il secondo riusciva addirittura a ricavare da iniziative editoriali di che pagare (sia pure in parte) i numerosi creditori che lo assillavano. Qui da noi, invece, tutta un’altra musica. Chi proprio non sapeva trattenersi dal realizzarsi a mezzo carta calamaio e penna sarebbe finito al manicomio se avesse fatto conto di vivere vendendo al pubblico i propri scritti. Era già tanto se non finiva carcerato o pesantemente mazziato alla prima occasione. Insomma, per evitare disgrazie e riempirsi lo stomaco, doveva affrettarsi a rintracciare chi potesse assicurargli pranzo colazione e cena insieme ad un discreto rifugio contro malintenzionati sempre pronti a fargli la pelle. I mecenati; ecco il tipico surrogato nostrano degli editori ! Pensando a costoro uno s’immagina che fossero dei gran signori amanti delle lettere; quanto meno degli illuminati. Tutte balle sparate dai testi scolastici per glorificare un passato che non lo merita. Quella era gente che aveva capito con largo anticipo l’importanza del buon look e delle public relation. Mettiamo che il duca di Vattelapesca, fatti quattro calcoli, avesse ritenuto finanziariamente utile affrettarsi ad impalmare la vezzosa marchesa di Nonsisadove. Come avrebbe dovuto regolarsi? Discendente da un’illustre dinastia di analfabeti, avrebbe rischiato di mandare tutto a monte qualora si fosse limitato a circuire la signora con grossolani apprezzamenti. Unica ancora di salvezza il poeta di corte. A costui l’onere di glorificare al meglio origini ed imprese della casata che provvedeva a sfamarlo; a lui, ancora, la grana di porre in bocca al suo datore di lavoro le rime più idonee ad ammorbidire le resistenze della nobildonna. Va considerato che, anche al quel tempo, la concorrenza non era fenomeno da prendere alla leggera. Il posto da pennivendolo, del tutto appetibile in quanti non avevano eccessiva propensione per la vanga, poteva saltare da un momento all’altro. Ecco perchè i letterati in carica ingaggiavano tra loro estenuanti gare a chi le inventava più grosse sugli antenati dei rispettivi signori. Gentaglia giunta da poco nel possesso d’un feudo e tagliagole della peggior risma si scoprivano così discendenti da Carlo Magno, da Giulio Cesare, quando non addirittura da personaggi mitologici. Magniloquenze, ampollosità varie e retorica a tutto spiano fanno ormai parte del nostro DNA letterario e non è facile scrollarcele di dosso. Tanto più che ad esse si accompagnano stili di complemento che formano altrettante lingue nella lingua. Qualcuno ricorda la stele di Rosetta ? E quando mai sarebbero riusciti a decifrare i geroglifici se non si fossero scovate le sue traduzioni demotiche, ieratiche e greche? Beh ! Col nostro burocratese si verifica press’a poco la stessa cosa. Dovete trovare chi sia in grado di tradurvelo in italiano sennò saranno c.. Qualcuno, ingenuamente, troverebbe da obbiettare sull’opportunità di tenere in vita terminologie morte o, quanto meno, sconosciute ad un pubblico non particolarmente versato nelle discipline crittografiche. Per comprendere le motivazioni che ne giustificano la sopravvivenza occorrerà soffermarsi sul fenomeno delle campane. Vi siete mai chiesti perché, pure in presenza di una civiltà pullulante di svegliette e vari altri marchingegni elettronici, non passa notte senza che i campanili segnino con loro rintocchi ore, mezz’ore e quarti ? C’è forse, ignota ai profani, qualche remota esigenza di tipo liturgico che li obblighi a farlo ? Niente affatto ! Mettiamoci nei panni dell’inquilino d’un alloggio posto nei paraggi. S’è appena assopito quando due di quelle micidiali botte lo mandano fuori dai gangheri. Probabilmente bestemmierà il primo santo che gli passerà per la testa. Ma, anche se refrattario alle pratiche religiose, non riuscirebbe a dimenticare l’esistenza dei sacri edifici. Con la burocrazia è peggio. Essa non ha credenti; dispone unicamente di disgraziati sui quali far gravare la propria presenza linguistica con l’unico scopo di giustificare i costi che comporta per la collettività. Se un moto di salutare pietismo ci spinge a non soffermarci oltre sull’argomento nulla può esimerci dal trascurare la presenza di altre magagne. Ed intendo riferirmi alla penosa questione dei modi di dire. Aprite un giornale e vi salta agli occhi la notizia d’un suicidio. A meno che siate fuori di testa la faccenda non sarebbe tale da farvi sghignazzare. Un poveraccio ha scelto di sottrarsi a quel modo alle angherie dei cravattari (cosa che la dice lunga sulla fiducia nella giustizia). Intanto quel burlone di redattore incaricato del servizio lo ha titolato "Braccato dagli strozzini – Si spara". Un’impresa che va oltre il coraggio necessario per farla finita. Non occorre essere geni per valutare che, per spararsi come si deve, si sarebbe costretti a prender lezioni dalle maestranze del circo Orfei. Da uno di quei signori, per l’esattezza, che, dopo aver indossato gli abiti del pagliaccio, entra nella bocca d’un grosso cilindro carico di polvere nera dal quale c’è chi s’incarica di proiettarlo secondo una traiettoria che, se tutto fila per il verso giusto, gli consentirà di aggrapparsi al palo appositamente istallato all’altro capo del tendone. D’obbligo, a questo punto, un consiglio per aspiranti suicidi contrari ad attribuire significati comici al loro gesto: impiccatevi, lanciatevi (scioperi permettendo) sotto un treno, scolatevi un fiasco di vino al metanolo, ma evitate (costi quel che costi) di puntarvi una pistola alla tempia. Nutro invece seri dubbi circa l’opportunità di azzardare analoghi consigli ad assassini dalla lupara facile. Del tutto refrattari ai richiami del bon ton costoro continuerebbero a crivellare le loro vittime fottendosene del fatto i quotidiani si affretterebbero a titolare: "Spara la moglie - Si barrica in casa da dove cerca di fare altrettanto con i carabinieri". Tra le croci poste sulle spalle di quanti, pur non aspirando al Premio Strega, cercano di esprimersi in maniera decorosa la più dura da sopportare resta quella dei sinonimi. Tipiche squisitezze di quando l’umanità risultava più o meno equamente ripartita tra analfabeti e letterati. Gente che viveva di rendita senza combinare un c. (v. Alfieri) ed avventurieri che avevano abbracciato tale professione per poter fare altrettanto (v. Casanova) non avrebbero potuto sopravvivere in un mondo privo della possibilità di cincischiare a piacere con ciascun vocabolo. Tanto è vero che, a tempo perso (si fa per dire), l’evaso dai Piombi ingaggiava furiose diatribe con il contemporaneo Voltaire per dimostrare che quanto a dovizia di sinonimi l’Italia poteva fottersene largamente della Francia. Ma caliamoci nella società attuale dove, se siamo in grado di metterci una mano sulla coscienza, non dovremmo faticare a riconoscere che ci eviteremmo un sacco di rotture qualora fosse disponibile un solo termine per ciascun vocabolo. Porca miseria ! Mi trovo che son di corsa. Da sotto c’è chi mi sollecita con continui rimbrotti via clacson, ed io devo lanciare una SMS alla mia donna per dirle che trovo la sua idea semplicemente splendida. Ecco affacciarsi il dubbio: è giusto definire splendida la proposta d’una puntata in pizzeria ? Dopo aver scartato termini come luminosa e folgorante, finisco per starmene indeciso tra magnifica ed eccezionale. Intanto chi attende per strada è sempre più nervoso; lo dimostra il fatto che è sceso dall’auto e tiene incollato il dito al campanello. Finisce che rinuncio al messaggio ed infilo le scale pur gravato dalla consapevolezza che l’omissione potrebbe costarmi cara. Molti sinonimi devono poi la sopravvivenza alla pruderie di scriventi che si farebbero scannare piuttosto di chiamare le cose con il loro nome. Individui che, a lasciarli fare, non esiterebbero a mettere mutande alle statue. Non è questione di perbenismo. Gente che non esisterebbe a dare della testa di c. a quanti intendessero importunarla è la stessa che, di fronte al foglio di carta, viene colta dalla sindrome delle dame di corte vittoriane. Tirata per i capelli a soffermarsi su di una specifica parte anatomica perde la testa e ripiega su termini quali organi, membri e, tutto al più, falli. Nulla di male se non fosse per il fatto che, contrapposta ai sinonimi, si erge impettita la controcategoria degli omonimi. Situazione foriera di obbrobriosi equivoci. Poniamo che vi capiti sottomano uno scritto del seguente tenore: "Egregio, Mi sono soffermato a lungo sugli inconvenienti da Lei lamentati circa il funzionamento del Suo organo. Convengo sul fatto che ormai lascia molto a desiderare, ma cosa vuol farci ? Tenga conto che per tanti decenni, pur sottoposto ad un uso che Lei stesso definisce logorante, non è mai venuto meno al suo compito. Si potrebbe provare a rimuovere almeno qualcuno dei difetti riscontrati, ma devo onestamente preavvertirLa che, comunque, sarebbe del tutto illusorio attendersi dallo stesso le prestazioni d'un tempo. Potrebbe essere la coscienziosa perizia dell'accordatore cui s'è rivolto il parroco per tentare un passabile restauro dello strumento che accompagna le messe cantate. Ed è di sicuro ciò a cui pensereste qualora la missiva non recasse da qualche parte la discreta intestazione d'un urologo. All'opposto. "Il membro si levava maestoso tra la meraviglia degli astanti lasciando chiaramente intendere che sarebbe risultato vano qualsiasi tentativo di piegarlo, o anche semplicemente di ammorbidirlo" Un brano tratto dalla prosa di De Sade ? Niente affatto ! Un semplice passo del banale e castigato verbale d’un consiglio d'amministrazione. E che dire di espressioni del tipo "la donna veniva colta in fallo" ? Gravissima se riferita a protagonista minorenne; addirittura ributtante se rivolta all'indirizzo di megera ultraottantenne.
|
Qui
(cliccare) ho inserito solo le opzioni AUDIO e STAMPA (con
impaginazione fronte-retro x formato opuscolo A5 da A4 con piega
centrale)
CARATTERISTICHE E VANTAGGI DEL SISTEMA
Mi sembra, a conti fatti, che quella qui prospettata sia una soluzione ottimale per accompagnare alla versione pdf dei testi quella multimediale ed ipertestuale attuata attraverso versione HTML. Certo, se si trattasse di creare un prodotto con impiego limitato a PC e notebook sarebbe possibile inserire animazioni, audio ed ipertesti direttamente su pdf (bipassando in tal modo la necessità di cartelle ed eseguibili), ma volendo realizzare qualcosa da far girare comodamente anche su smartphone, non sarebbe certo questa la soluzione ideale; per una questione, oltre di peso, per l'impossibilità di visionare su Android i coolegamenti resi possibili dall'Acrobat Reader. Ecco allora il sistema della doppia versione: da una parte l'HTML con riferimenti incrociati per quanto riguarda illustrazioni, note, commenti ed approfondimenti, nonché collegamenti a video audio ecc.; dall'altra l'opzione pdf che, a seconda dei casi, potrebbe articolarsi su fogli predisposti per fascicoli A4 (A3 con piega centrale) o anche solo fronte-retro, nonché A5 (A4 con piega centrale ed ancora diposizione fronte-retro). La scelta dell'Arial 10 (e simili) rende bene su PC come su qualsiasi smartphone come anche sui formati cartacei sopra indicati; unico accorgimento quello di disporre il testo principale sulla tabella di sinistra, riservando l'area destra a note, commenti ed illustrazioni.
Alessandro Manzoni
Luciano
De Crescenzo
Vittorio Alfieri
La Stele di Rosetta è una lastra in basalto di 114 cm × 72 cm che pesa circa 760 kg e riporta un'iscrizione con tre differenti grafie: geroglifico, demotico e greco (dall'alto in basso). Demotico e Geroglifico non sono due lingue diverse ma semplicemente sono due differenti grafie dell'egizio: il geroglifico era usato per testi monumentali o di particolare importanza mentre il demotico,che derivava da una semplificazione della grafia ieratica, era usato per documenti ordinari; in epoca tarda l'uso di redigere anche i testi ufficiali in demotico derivava dall'essersi ristretta quasi solamente alla classe sacerdotale la conoscenza della grafia geroglifica. Poiché il greco era conosciuto, la stele offrì una chiave decisiva per poter procedere alla comprensione dei geroglifici, e ciò avvenne nel 1822 ad opera di Jean-François Champollion. Lo stesso decreto tolemaico è riportato in due lingue (ma tre grafie poiché l'egizio è presente sia in geroglifico che demotico) nella stele. Si tratta di un decreto emesso nel 196 a.C. in onore del faraone Tolomeo V Epifane (al tempo tredicenne) in occasione del primo anniversario della sua incoronazione. Il testo riporta tutti i benefici resi al paese dal re, le tasse da lui abrogate, e la conseguente decisione del clero di erigere in tutti i templi del paese una statua in suo onore, e statue d'oro da collocare accanto a quelle degli dèi, e di indire festeggiamenti in onore del re. Stabilisce inoltre che il decreto sia pubblicato nella scrittura delle parole degli dèi (geroglifici), nella scrittura del popolo (demotico) e in greco. La parte greca inizia così: Βασιλεύοντος τοῦ νέου καὶ παραλαβόντος τὴν βασιλείαν παρὰ τοῦ πατρòς...Basil èuontos tu nèu kài paralabòntos tèn basilèian parà tu patròs... (Il nuovo re, avendo ricevuto il regno dal padre...). Il fisico inglese Thomas Young intuì che il cartiglio (parte di testo circondata ed evidenziata da una linea) nel testo geroglifico conteneva il nome del sovrano, ed era riportato allo stesso modo nel testo greco sottostante, anche se il contributo più importante alla comprensione dell'egiziano e allo studio della stele di Rosetta fu quello del francese Jean-François Champollion (grazie alla sua conoscenza della scrittura copta, che era praticamente egiziano translitterato foneticamente usando l'alfabeto greco). Champollion non aveva però identificato i segni multiconsonantici, cosa che fece successivamente Karl Richard Lepsius. La storia della stele è legata a Napoleone Bonaparte e alla campagna d'Egitto progettata per colpire il predominio britannico nel Mar Mediterraneo e aprirsi la strada verso le Indie.
La
spedizione partì da Tolone il 19 maggio del 1798, composta da una
flotta di 328 navi e 38 000 uomini alla volta dell'Egitto dove arrivò
il 2 luglio. Riuscì nel suo intento all'inizio, finché non riportò
una cocente sconfitta navale ad Abukir da parte dell'ammiraglio
britannico Horatio Nelson, che distrusse la flotta francese e segnò
il declino della spedizione.
Facevano parte della spedizione anche 175 scienziati, che avevano l'obiettivo di aprire alla Francia la conoscenza della storia mediorientale, e casse contenenti strumenti di misurazione e tutti i libri disponibili a quel tempo sulla storia dell'antico Egitto. Il ritrovamento della stele è attribuito al capitano francese Pierre-François Bouchard che la trovò nella città portuale di Rosetta (l'odierna Rashid) nel delta del Nilo il 15 luglio del 1799. Bouchard trovò la lastra mentre seguiva i lavori di costruzione di Fort de Rachid, detto già allora Fort Julien, vicino alla città. In realtà Bouchard, che era l'ufficiale che dirigeva le opere di fortificazione, non trovò personalmente la stele, né il ritrovamento fu merito di Dhautpoul, capo delle truppe del genio a lui sottoposto: fu un soldato, di cui non sappiamo il nome, a rinvenirla durante i lavori. Bouchard capì l'importanza della pietra e la mostrò al generale Jacques François Menou, che decise di portarla ad Alessandria, dove giunse nell'agosto dello stesso anno. Quando nel 1801 i francesi dovettero arrendersi, nacque una disputa sui reperti rinvenuti dai francesi: questi volevano tenerli, mentre gli inglesi li considerarono il loro bottino, in nome del re Giorgio III. I francesi cercarono di occultare la stele in una nave nonostante gli accordi, ma furono scoperti e dovettero consegnarla ai vincitori. Fu concesso loro di tenere le riproduzioni che avevano fatto prima di imbarcarsi ad Alessandria.
Al
ritorno in Inghilterra, la stele fu esposta al British Museum, dove
viene custodita dal 1802. Alcune iscrizioni dipinte in bianco
mostrano la registrazione dell'acquisizione sul lato sinistro e su
quello destro.
La
Stele è stata sottoposta a operazioni di pulitura nel 1988, ma
queste testimonianze storiche non furonorimosse. Una piccola area
dell'angolo in basso a sinistra è stata lasciata com'era per
eventuali intenti comparativi. Nel luglio del 2003 gli egiziani hanno
chiesto la restituzione della stele.
|