DUE PAROLE SUI PERIODICI Il 2013 ha già registrato la scomparsa di un buon quarto di edicole, mentre quante si sforzano di vivacchiare lo fanno (sbagliando) caricandosi di giocattoli e servizi di varia nutura rigorosamente estranei ad una rivendita di stampati. La sopravvivenza dei quotidiani, stravolta dall'esodo degli inserzionisti, sarebbe cessata da un pezzo senza quelle "provvidenze" tipicamente nostrane consistenti in forme di finanziamento pubblico (un sistema come un altro per stornare parte del gettito fiscale a vantaggio di proprietari di testate che nulla hanno a che vedere con le esigenze di una libera informazione). Non vanno meglio le riviste; un settore impossibilitato a competere con la Rete già per il solo fatto di doversi sobbarcare la trafila "composizione, stampa, distribuzione, rese, stoccaggi ecc." per raggiungere il destinatario finale solo dopo che questo ha avuto modo di documentarsi scorrazzando per il Web. Qui, per quanto paradossale possa sembrare, ciò che ostacola il passaggio dal coma alla morte va identificato in quelle statistiche sul "digital divide" che assegnano all'Italia un altro dei suoi poco invidiabili primati. Al di là di queste ovvie considerazioni c'è, tuttavia, un elemento sulla cui portata sono ben pochi a soffermarsi. Scarseggiano, ormai, persone disposte a sfogliare un giornale alla ricerca di un articolo o trafiletto che possa soddisfare la loro curiosità. Non è più il lettore a cercare la notizia quando é questa a raggiungerlo dal Web, per giunta in tempo reale. Tutto l'opposto di quanto accadeva anni addietro, quando, prima dell'acquisto di una rivista, ci si soffermava a sfogliarla per una preliminare verifica dei contenuti. Senza contare l'assurdità di doversi sobbarcare l'acquisto di un periodico pagandone l'intero importo a fronte di un nostro gradimento sul solo 10% dei contenuti.
|