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L’UOMO
IN SCATOLA Chi ritenesse il confezionamento in barattoli un’esclusiva dei prodotti ittici e zootecnici farebbe bene a toglierselo dalla testa. Da sempre l’essere umano s’è ingegnato nel carpire agli animali alcune loro prerogative. Il volo degli uccelli lo ha spinto ad inventare l’aereo, l’attenta osservazione dei pesci gli ha consentito di costruire le pinne da sub, mentre accorti studi sulle peculiarità del pipistrello l’hanno portato alla scoperta del radar. Restava da toccare un ultimo traguardo; il più difficile, quello dell’inscatolamento. Ma anche su questo arduo fronte, avendocela messa tutta, possiamo ritenere che sia ormai giunto a buon punto. La storia dell’occidente è letteralmente costellata da esperimenti in siffatta direzione. Primi (e per ciò stesso abortiti) tentativi: quelli condotti dai Greci sotto la supervisione di Diogene seguiti a ruota dalle tecniche d’imballaggio umano sperimentate dai cartaginesi su di Attilio Regolo. Altri, e non più fortunati tentativi, quelli condotti dal grande Federico II (che comunque servirono a collaudare la tenuta dei fusti di rovere siciliani). Per arrivare a qualche risultato dobbiamo spingerci agli albori del ‘600 quando quel sant’uomo del cardinale Borromeo, avvalendosi della preziosa collaborazione di suor Maria de Leyva (al secolo Monaca di Monza), riuscì a dimostrare la pluridecennale tenuta dell'individuo in spazi ritenuti a torto impraticabili. Ma perché riportarci a tempi così lontani quando non mancano più recenti e documentati casi di coraggioso pionierismo nostrano? Esempio tra i più illustri e lungimiranti quello offertoci dai famosi carri armati T34; i primi a realizzare condizioni di assoluta privacy capaci di coniugarsi con le esigenze belliche. L'antesignano, in altre parole, del perfetto e comodo inscatolamento mobile. Si! Lo so ! I soliti denigratori ebbero a ricamarci su un fottio di barzellette. Tutta invidia per aver tentato invano la progettazione di un semovente che, oltre a costare quattro soldi, offriva il singolare vantaggio di una mimetizzazione prossima all'invisibilità. Bastava infatti ci fosse d'attorno un minimo di vegetazione, qualche anche modesto anfratto del terreno, e non c'era pericolo che il nemico riuscisse ad avvistare quell’autentico mostro d’ingegneria militare. Fateci caso. Non si fa in tempo a nascere che c’è già chi ha provveduto a procurarci una scatola a rotelle per poterci scarrozzare di qua e di la a suo piacimento. Altro barattolo per le esigenze della dipartita; esso pure montato su ruote, solo che, al momento giusto, le tirano via per poter introdurre il primo contenitore in un secondo (normalmente di cemento). Semplice infatuazione ? Moda ? Niente affatto ! Non ne siete convinti ? Ditemi, allora, cos’è che spaventa di più |
l’essere umano; che lo terrorizza oltre ogni limite, se non il timore di andare incontro a qualche gran rottura di scatole? Non molto tempo addietro in Giappone si cercò di brevettare una casa-scatola che somigliava maledettamente ad una camera iperbarica ultra-miniaturizzata. Dentro, ad eccezione dello spazio per muoversi, c’era di tutto; bastava che l’inquilino pigiasse con gli alluci i pulsanti d’un pannello per accedere ad ogni possibile tipo di comfort ; escluso, bene inteso, quello di una compagnia femminile dal momento che il prototipo era rigorosamente single (si contava di sperimentare tane-alloggio matrimoniali in un secondo tempo). Finì che non se ne fece nulla. L’ufficio brevetti respinse il progetto dopo che un’oculata ricerca consentì d’appurare che qualcosa di analogo era già stato realizzato su vasta scala dagli italianissimi IACP (Istituti Autonomi Case Popolari). Se vi rivolgete ad un’agenzia immobiliare per vendere un appartamento, immediatamente vi si chiede il numero dei vani. "Otto? Scherziamo? Impossibile liquidarlo !……Oggi vanno solo i minialloggi !". Questa delle microresidenze non è una fissa legata a motivi di risparmio. E’ proprio che l’uomo moderno, piazzato in una dimora che superi anche di poco la propria statura, comincia ad avvertire insopportabili sensi di disagio. Come altro spiegare la frenetica ricerca di pied-a-terre da parte di gente che, se non fosse giusta la mia tesi, non vedo quali motivi avrebbe per allontanarsi dalle ville in cui invece s’adatta a vivere solo perché cariche di aviti ricordi. Passiamo agli edifici pubblici e chiediamoci pure con che animo è stato possibile mantenere generazioni di uscieri ed impiegati abbandonati come naufraghi in spazi vuoti e vasti al punto da dare le vertigini. Fortunatamente oggi è tutta un’altra musica. Andate a sbrigare una pratica da qualche parte ed il cuore vi si allarga nel constatare la razionalità con cui ambienti un tempo sconfinati risultano gradevolmente frazionati dal massiccio ricorso alla creatività consentita dal cartongesso. Entrate nell’ufficio A e vi trovate ad un palmo da chi è incaricato di ricevere la pratica. Non potete non apprezzare il senso di studiata intimità dovuto, è fuor di dubbio, al fatto che le dimensioni dell'ambiente ricalcano fedelmente quelle dello sgabuzzino domestico. Passando nel settore B dovrete abbandonare ogni imbarazzo; non è proprio il caso di appiattirvi contro il divisorio per evitare il contatto con le tette della diligente maggiorata che continua a volteggiarvi intorno. Se il puritanesimo è proprio il vostro debole (mi astengo dal ventilare altre ipotesi) potreste, semmai, arretrare in corridoio quando l'altra fosse costretta a recuperare pratiche dai piani bassi dello scaffale. Giunti al punto C un commesso, piacevolmente spiaccicato nella vitrea nicchia modellata sul design di antiche cripte, |